Fotografi a Venezia
Sono passato da Venezia. L’ho girata a piedi per due ore. Non ho saputo resistere. Ero a Mestre per lavoro, il treno di ritorno l’ho perso volentieri! In sei chilometri di passeggiata ho visto persone, studenti, turisti, gondolieri. E fotografi. Tanti fotografi. Troppi fotografi. Gente che fotografa altri fotografi. Incroci di click e orge di click. E allora sul treno di ritorno mi sono interrogato: scattare fotografie è divertente, potrebbe giustificarsi da se!? E cosa rimane di diverso a me che cerco di fare fotografia dal turista frettoloso che ottiene il suo scatto bello? Ho pensato che forse qualcosa resta.
Osservare un luogo, leggere e commentare la sua storia comincia a diventare privilegio di pochi. I più fotografano e basta. Si sta in un luogo, si va in giro, si fa qualcosa. Si fotografa. Si coglie qualcosa di carino e lo si fa proprio. Forse fotografare è proprio questo, appropriarsi di un momento, della superficie riflettente di un oggetto, di una persona, di un luogo fisico. Quel pezzo di San Marco diventa anche mio. E condividendolo con gli altri è ancora più mio! Del Ponte dei Sospiri ricordo vagamente la storia, ma adesso ce l’ho sul cellulare e lo posso raccontare! E magari ho una collezione di foto in luoghi pazzeschi, senza conoscerne minimamente la storia e l’anima.
A molti questo basta. E’ un bisogno legittimo, semplice. Magari non molto profondo, ma limpido, onesto.
Andare oltre è un’altra storia, roba da fotografi veri, appassionati di un mestiere ormai morto, chi vuole documentare una realtà urbana, un contesto sociale, deve fare una serie di passaggi ulteriori e non sperare di ottenere nulla in cambio, se non la convinzione condivisa che “fotografi fotografi” non ci si improvvisa, semmai si diventa, a poco a poco, raccontando storie vere coi propri scatti. Storie di altri, non certo storie di se.
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